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Io sono sempre dello stesso parere: sino a quando non sarà rinnovata la nostra classe dirigente, sino a quando le elezioni si faranno sulla base di clientele, sino a quando i Calabresi non indicheranno con libertà e coscienza i loro rappresentanti, tutto andrà come prima, peggio di prima.
Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

mercoledì 19 ottobre 2016

Un parco per abitare*

Stiamo vivendo anni determinanti per il futuro delle nostre montagne: solo un turismo e uno sviluppo che abbiano un occhio di riguardo nei confronti del territorio e della biodiversità avranno un futuro. Possono i parchi, con la loro sintesi tra uomo e habitat, diventare un laboratorio per salvaguardare il loro futuro?

Escursionisti in cammino verso la cima di Serra delle Ciavole
(Photo di E. Pisarra)
Agli inizi degli anni Ottanta uno slogan lungimirante promuoveva la politica dei parchi: “vogliamo un parco per abitarci”.
Furono anni di grande impegno di sensibilizzazione a tutti i livelli: a partire dal rispetto per la natura e della coscienza ecologica; tempi segnati dalla nascita delle associazione ambientaliste: dalla rivista Airone che vendeva centinaia di migliaia di copie; mentre molte regioni si andavano dotando di norme di salvaguardia per le proprie aree protette regionali.
Lo spirito delle norme nazionali fu chiaro: pianificazione territoriale a livello nazionale e regionale con la gestione affidata a enti che avessero al loro interno una rappresentanza locale.
I parchi nacquero proprio in un momento importante per salvaguardare un patrimonio naturale sopravvissuto agli effetti più catastrofici della industrializzazione e della rivoluzione tecnologica. 

Da allora ci fu anche la consapevolezza che le aree protette dovessero affiancare alla salvaguardia della biodiversità la promozione e lo sviluppo sostenibile del territorio, con una particolare attenzione riservata ai suoi abitanti.
Anziani che sorridono al fotografo in una delle tante piazze dei
nostri piccoli paesi. (Photo di E. Pisarra)
Basta ricordare come il nostro Parco fosse da tempo atteso in Basilicata e poco voluto in Calabria; anzi, in quest’ultima sembrava si trattasse di una classica imposizione dall’alto da parte dello Stato su richiesta di pochi ambientalisti. Tant’è   che nella notte del 20 ottobre 1994 si raggiunse il momento più “forte” della protesta con l’incendio appiccato a “Zio Peppe” il pino loricato scelto come simbolo del nuovo parco.

Da quegli anni Ottanta, tutti i parchi hanno fatto tanta strada, cercando di conciliare la missione essenziale della conservazione con l’esigenza di diventare “motore” di uno sviluppo sostenibile del territorio. Il lavoro è stato lungo e la fatica tanta, ma oggi c’è molta più sinergia fra aree protette e comunità locali.

I parchi ora hanno un riconoscimento a livello locale e sono gli stessi comuni a chiedere, all’ente che gestisce l’area protetta, anche un proprio ruolo di guida e di traino, ad esempio con la partecipazioni a iniziative che coinvolgano il territorio.  

Cavalli al pascolo con sullo sfondo il Monte Pollino
(Photo di E. Pisarra)
E non potrebbe essere altrimenti, considerato che, di fatto, oggi i consigli direttivi dei parchi sono in gran parte composti da rappresentanti degli enti locali, con un deficit, casomai di rappresentanza da parte degli enti centrali e del mondo scientifico. Purtroppo la riflessione politica sui parchi si è fermata e oggi c'è molta meno attenzione e sensibilità alla questione. Non c'è più una politica dei parchi, né a livello regionale, né a livello nazionale.
Proprio in questi giorni il Parlamento sta discutendo le modifiche da apportare alla Legge Quadro che, a mio avviso, sono deleterie nel cosiddetto rapporto dei pesi e dei contrappesi tra le figure apicali.
Per esempio, il ruolo del Direttore del Parco deve essere di “contrappeso” ai poteri del Presidente. Ma se al Presidente viene dato il potere di nominarsi un proprio Direttore con contratto di diritto privato per un tempo limitato (non superiore a cinque anni), è ovvio che è venuta meno quella funzione di controllo e autonomia nel rispetto dei ruoli.

Un altro tentativo, messo lì tra le pieghe dei commi è la questione della caccia, della pesca e delle attività estrattive.
Il Monte Sparviere ricoperto dalle prime nevi
(Photo di E. Pisarra)
“… Il piano reca altresì l'indicazione anche di aree contigue ed esterne rispetto al territorio del parco naturale, aventi finalità di zona di transizione e individuate d'intesa con la Regione. Rispetto alle aree contigue possono essere previste dal regolamento del parco misure di disciplina della caccia, della pesca, delle attività estrattive e per la tutela dell'ambiente, ove necessarie per assicurare la conservazione dei valori dell'area protetta. In ragione della peculiare valenza e destinazione funzionale dell'area contigua, in essa l'attività venatoria è regolamentata dall'Ente parco, sentiti la provincia e l'ambito territoriale di caccia competenti, e può essere esercitata solo dai soggetti aventi facoltà di accesso all'ambito territoriale di caccia comprendente l'area contigua. Per esigenze connesse alla conservazione del patrimonio faunistico, l'Ente parco può disporre, per particolari specie di animali, divieti e prescrizioni riguardanti le modalità ed i tempi della caccia. Tali divieti e prescrizioni sono recepiti dai calendari venatori regionali e provinciali ed assistiti dalle sanzioni previste dalla legislazione venatoria. …”

Così come altri articoli della Legge Quadro sono soppressi o completamente modificati nel contenuto e nel significato.
Per esempio, un’altra “chicca” è costituita da quest’altro comma: Costituiscono entrate dell'ente di gestione dell'area protetta i proventi derivanti dalla vendita della fauna selvatica catturata o abbattuta ai sensi dell'articolo 11.1.
È evidente che questo è un incentivo all’attività venatorie all’interno di un Parco.
Invece, una norma che pare interessante, se verrà attuata, è la istituzione di un Comitato nazionale per le arre protette con funzioni propositive e consultive.
  
Occorre quindi, come puntualizzato da Roberto Saini, docente di pianificazione ambientale, «tornare a fare una politica del territorio e dei parchi. Bisogna fare sistema. I parchi non devono essere isole ma devono diventare il territorio, occorre tornare a una visione di unione tra ambiente umano e ambiente naturale».

Perché se non avviene ciò i Parchi sono alla mercede di politici miopi che guardano al “particulare” piuttosto che agli interessi generali.

Di tutto questo va informata l’opinione pubblica, altrimenti c’è il rischio che i parchi entrino in clandestinità, come purtroppo in parte sta già accadendo, o che le loro azioni per la salvaguardia passino inosservate: e sarebbe veramente un peccato.
Viviamo infatti anni cruciali per il futuro del nostro Pianeta e delle nostre montagne, anni in cui diventa sempre più manifesto come solo un turismo e uno sviluppo corretti del territorio e della biodiversità possono avere un futuro. E cosa meglio dei parchi, con la loro sintesi tra ambiente umano e ambiente naturale, può dare una mano a tracciare una via possibile?




* Questo articolo esce in contemporanea su questo blog e sul periodico PASSAMONTAGNA della sezione CAI di Castrovillari 



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