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Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

venerdì 25 novembre 2016

Montanari per forza o per scelta?

Nelle mie peregrinazioni per le montagne italiane incontro sempre meno gente:
non solo escursionisti ma anche i montanari.
Sugli Appennini il problema si mostra da qualche anno; sulle Alpi, invece, ha origini antiche.
Infatti, a partire dagli anni Sessanta, con il miraggio delle fabbriche, del lavoro al riparo dalle intemperie e del reddito sicuro molti montanari sono scesi in pianura.
Ecco, questo problema comincia a essere registrato con tutta la sua forza anche sulle nostre montagne del Pollino.

Approfittando di un mio soggiorno in Lombardia ho partecipato a un convegno dal titolo molto eloquente: “Montanari per forza. Immigrazione straniera nelle montagne italiane: accoglienza ripopolamento, confino”, tenutosi presso l’Università di Milano Bicocca.

La tematica mi aveva colpito, tanto più perché l’incontro era stato organizzato dalla gloriosa associazione DISLIVELLI di Torino che da anni si occupa di montagna e dei problemi connessi allo spopolamento delle terre alte.


Locandinda dell'evento organizzato
da DISLIVELLI all'Università Milano
Bicocca
Avevo letto con interesse lo speciale di febbraio della loro omonima rivista di quest’anno, dal titolo “Montanari per forza” sul tema della presenza di stranieri nelle terre alte.

In questo numero, che consiglio di leggere (scaricabile qui) si parla di buone pratiche di inclusione e casi di difficoltà di convivenza tra montanari per forza e residenti, si affronta il tema delle migrazioni dall'estero come possibile risorsa per il rilancio di zone montane in crisi demografica, socio-economica e culturale.

Al convegno Maurizio Dematteis, ha illustrato l’associazione DISLIVELLI, fondata nel 2009 da un gruppo di ricercatori dell’università di Torino, il loro sito, dove viene pubblicata in pdf e scaricabile da chiunque la rivista già citata oltre a un semestrale di ricerca sulla montagna.
In seguito a numerose sollecitazioni giunte da più parti di servizi sulla montagna, l’associazione DISLIVELLI ha curato alcune interessanti ricerche:

1.   Vivere a km 0 (2009-2011) I nuovi montanari della montagna piemontese.

2.   IRTA (2012) Inventario della ricerca sulle terre alte piemontesi.

3.   NOVALP (2012-2014) I nuovi montanari nell’arco alpino italiano: i dati, le persone, le dinamiche e i processi.

Inoltre sono in corso di studio ed elaborazione:

4.   INTERMONT

5.   I TURISMI SULLE ALPI Come cambiano cultura e offerta turistica in montagna.
Dopo la presentazione dell’associazione DISLIVELLI è seguito l’intervento di Andrea Membretti dell’Università di Pavia, sociologo e curatore della rubrica “montanari per forza” il quale ha cercato di dare una risposta al quesito: I “montanari per forza” possono diventare montanari per scelta?
Dopo più di un secolo le statistiche dicono che le terre alte si stanno ripopolando.
In Italia, dove tra il 2001 e il 2011 quasi la metà dei comuni montani ha registrato una crescita demografica, questo neo-popolamento si deve fino ad oggi principalmente a flussi di migrazione interna. Eppure, a inizio 2014 gli stranieri residenti nei 1.749 comuni italiani, il cui territorio è compreso nella Convenzione delle Alpi, erano quasi 350.000, con un’incidenza lievemente superiore alla media nazionale e proporzioni spesso oltre il 10% nella popolazione in età da lavoro. Oggi molti altri potrebbero prendere la strada della montagna nella situazione di emergenza rifugiati esplosa nel 2015.
Un momento della presentazione di DISLIVELLI

Questi movimenti sono avvenuti a causa di disponibilità di alloggi, costo della vita basso, disponibilità di lavoro, come la pastorizia gestita dagli stranieri o il taglio del bosco: tutto questo può avere effetti positivi, in quanto importiamo professionalità (per esempio, esperti di costruzioni di muri a secco), otteniamo un apporto di risorse economiche e abbiamo cura del territorio.

“Gli immigrati ci sono, continueranno ad esserci e, probabilmente, i flussi non diminuiranno per il prossimo mezzo secolo”. Con questo incipit terribile, forse scontato, ha aperto il suo intervento il sociologo Alessandro Cavalli.
Per certi versi scopre l’acqua calda, quando afferma che gli esseri umani si sono sempre mossi sul pianeta; a volta a breve distanze, a volta a medie e lunghe distanze.
Questo fenomeno non si arresterà se non fra quasi un secolo - secondo i calcoli dei demografi- quando la popolazione africana aumenterà alla pari di quella europea.
Esibizione del coromoro (Ph. di E. Pisarra)
“Se pensiamo che nell’arco di pochi anni la popolazione del pianeta si è più che triplicata – continua Alessandro Cavalli – la gran parte delle migrazioni sono ancora all’interno dello stesso continente. Questi sono i primi segnali di grandi spostamenti, nei prossimi anni, verso altri continenti”.

Infine, coloro che sbarcano sulle nostre coste provengono in prevalenza dai paesi africani con popolazioni tra loro molto diverse.
La politica italiana di accoglienza è quella di:
·       rispettare le regole europee: quindi significa registrarli e che una quota di quanti arrivano da noi è destinata a restarci. Di conseguenza, bisogna pensare a forme di integrazione permanenti nel nostro territorio.
·       Provvedere a una loro distribuzione sul territorio. Per questo ci sono aree dove la presenza di migranti potrebbe essere una vera risorsa.
Ovviamente non si può più ricostruire l’economia agropastorale che per secoli è rimasta pressoché immutata e che era appena sufficiente a mantenere una certa popolazione; tuttavia, l’arrivo e la collocazione di migranti nelle terre alte potrebbe contribuire a tamponare le falle dell’abbandono delle zone montane che degradano l’ambiente montano.
Per esempio, il dissesto idrogeologico richiede braccia di lavoro, recupero di agricoltura montana, creazione di produzioni agricole in grado di fornire mercati vicini.
Fin qui sembrerebbe tutto semplice e facile. Tuttavia, se in generale non siamo ancora pronti mentalmente ad accogliere, tanto più lo sono le popolazioni di montagna che sono anziane e hanno una radicata chiusura verso l’estraneo.
Per questo bisogna educare la popolazione locale all’accoglienza e vincere le resistenze dei migranti ad andare verso le zone alte di montagna…

Invece Andrea Trivero, direttore di PaceFuturo onlus, ha raccontato le buone pratiche avviate in un piccolo paese come Pettinengo, in provincia di Biella.
Coinvolgimento della comunità locale che accoglie, valorizzazione delle risorse locali per ridare dignità all’esperienza lavoro, attività e servizi rivolti anche alla comunità locale. “Per questo abbiamo attivato otto laboratori – racconta Trivero – avviato corsi di cantierato, aperti 20 km di sentieristica, dato lavoro a 30 persone di Pettinengo, movimentato 70.000 euro al mese.
Storicamente, nei momenti di crisi sociale, economica, etico-morale, torna l'interesse per la montagna. Potremmo allora ripensare oggi, nei modi e nelle forme della contemporaneità, a esperienze passate che hanno cambiato il volto delle Alpi e accettare la sfida per l’immediato futuro attraverso la politica, la demografia e la gestione consapevole di territori alpini”, ha auspicato l’antropologo Annibale Salsa.

Fin qui la cronaca striminzita e, volutamente, ridotta dell’incontro all’Università Milano Bicocca.
Le conclusioni.
Logo del gruppo di Cantori COROMORO
In primo luogo, l’approccio di studio e di necessità mette in campo sociologi, antropologi, demografi e quant’altro per far fronte ad un problema gigantesco che non finirà a breve; si studia, si cerca di capire, si trovano le risorse per affrontare le prime emergenze. Comunque, sono tutti convinti che il fenomeno durerà a lungo e quindi necessitano soluzioni a medio e lungo periodo. Questo per quanto riguarda le terre alte sulle Alpi e, in particolare, in Piemonte.
E sugli Appennini?
Mentre ritornavo in treno, pensavo alla nostra situazione, in Calabria e nel mio piccolo paese.
Non conosco a fondo le iniziative intraprese nel mio comune. Vedo molti ragazzi, abbandonati a se stessi, che vagano per la piazzetta, spesso in tenuta da calciatori, si recano al campo sportivo per una partita a pallone. E poi?
Poi tornano a bighellonare per il paese e l’ostello della gioventù dove sono alloggiati in attesa di nuove mete.
La conclusione dell’incontro di Milano è stata affidata alla prestazione del Coro Moro, un gruppo di canto a cappella composto da giovani africani ospitati nelle Valli di Lanzo, in provincia di Torino, che cantano canzoni tradizionali in dialetto piemontese.

Chissà che un giorno non avremo anche noi, nel nostro Pollino, un gruppo folk afro-arberesh che canti le gesta eroiche di Giorgio Castriota Skanderberg….




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