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Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

venerdì 12 maggio 2017

Le nuove norme sui Parchi

Con questa strana modifica hanno consegnato il formaggio in custodia ai topi.

 Mentre leggo i rendiconti parlamentari della Commissione Ambiente a proposito delle modifiche apportate alla legge quadro sulle aree protette, mi è venuta in mente questa frase pronunziata qualche anno fa da Franco Tassi, già direttore soprintendente del Parco nazionale d’Abruzzo.
Ormai siamo alla resa dei conti tra coloro che si sono battuti per la conservazione dell’immenso patrimonio naturale che abbiamo ereditato dai nostri saggi montanari con quelli che in nome di un non tanto chiaro sviluppo sono pronti per la valorizzazione.
Il nuovo logo del Ministero dell'Ambiente 
Non importa se la cosiddetta “valorizzazione” sia sinonimo di strade, aree picnic, campeggi e villaggi turistici.
Infatti, le nuove norme licenziate dalla Commissione Ambiente hanno quasi recepito in toto i suggerimenti provenienti dalla proposta Caleo (ex d’Alì) del Senato.
Si è sempre pensato che i Parchi sono “cosa” dello Stato e quindi è quest’ultimo il gestore, colui che detta le regole della governance; invece pare che la riforma licenziata dalla Camera sposta il governo dei parchi a livello locale, coinvolgendo portatori di interessi specifici e “interessati”. Lo è, per esempio, l’introduzione del Componente del Consiglio direttivo in rappresentanza degli agricoltori (e perché no dei pescatori, poi dei boscaioli e via dicendo).
A questo vanno aggiunte le modalità di nomina dei presidenti e dei direttori degli enti: i primi, infatti, continuerebbero a essere di espressione politica, senza competenze specifiche, e potrebbero trovarsi di nomina anche pensionati o chi riceve vitalizi; i secondi, non più iscritti all'Albo dei direttori dei parchi, non avrebbero più l'obbligo di competenze naturalistiche e verrebbero chiamati a essere “espressione del territorio” con incertezze espresse sulla chiarezza del percorso di selezione. 
Preferirei che il Direttore fosse nominato a seguito di un concorso pubblico gestito da una commissione nominata dal Ministero dell’Ambiente, dove il vincitore finale è uno solo così come accade per le altre amministrazioni pubbliche che devono scegliere i loro dirigenti.
Un altro punto a dir poco incomprensibile è lo stravolgimento della legge a favore di un non bene precisato protagonismo locale nella gestione del territorio rispetto alla gestione più distaccata dello Stato.
Purtroppo chi non conosce la storia spesso ripete gli stessi errori fatti in passato.
Questo argomento fu già affrontato una prima volta in Italia nella Commissione presieduta da Benedetto Croce nel 1922. In quella occasione fu deciso che l’ente di gestione avesse addirittura la sede legale fuori dal perimetro del parco.
Ricordo che il Parco d’Abruzzo aveva la sede a Roma, il Gran Paradiso invece aveva sede a Torino e così via.
Guardia Perticara. Murale dedicato a tutti gli attori che hanno
partecipato al film "Cristo si è fermato a Eboli"
(foto di E. Pisarra) 
Nella prima stesura delle legge quadro, nel 1991, le sedi legali e amministrative furono portate all’interno del perimetro dei un area protetta.
Infine, tra le altre tantissime novità apportate (e che non ne sentivamo la mancanza) è la questione delle royalties.
Ossia la possibilità di autofinanziarsi attraverso il pagamento di tasse da parte di imprese locali e non pur di sfruttare un bene o una risorsa presente all’interno di un’area protetta. Penso, per esempio, il parco più vicino a noi, quello dell’Appennino lucano, in Val d’Agri, circondato da tantissimi pozzi di petrolio, che, qualora passasse questa norma, potrebbe pretendere dalle compagnie petrolifere denaro in cambio di autorizzazioni ad estrarre anche all’interno del perimetro del parco. Oppure la costruzione di nuove dighe per la raccolta di acque; o le messa in coltivazione di cave a cielo aperto per l’estrazione di inerti.
Si aprirebbe così un contenzioso che travalica lo spirito di un parco, che ricordiamo sempre è la conservazione del territorio e non la messa in produzione di parti di superfici che meritano, invece, di essere lasciate in pace.
In ultima analisi, anche la legge sui Parchi è frutto del generale decadimento culturale di questi ultimi tempi. L’obiettivo di banalizzare il ruolo delle aree protette, trasformarle in agenzie di sviluppo locale, in enti intermedi di gestione del potere secondo logiche di politica locale: una sorta di controriforma che peggiora lo stato delle aree protette già di per sé non in buona salute.


Nota

Questo articolo esce in contemporane sul periodico "PASSAMONTAGNA" della sezione CAI di Castrovillari 

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