Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana

Io sono sempre dello stesso parere: sino a quando non sarà rinnovata la nostra classe dirigente, sino a quando le elezioni si faranno sulla base di clientele, sino a quando i Calabresi non indicheranno con libertà e coscienza i loro rappresentanti, tutto andrà come prima, peggio di prima.
Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

sabato 31 ottobre 2015

Ancora un lupo morto sul Pollino

Ancora uno splendido esemplare di lupo ucciso, questa volta,
a San Costantino Albanese (foto dal web)

Questa volta è accaduto alle porte di San Costantino albanese. Il povero lupo è stato impallinato ma è riuscito a scappare per poco fino a quando esangue è caduto ai bordi della strada che porta alla contrada di Acquafredda.
Dalle testimonianze raccolte sul posto non è affatto vero che il lupo è rimasto vittima di una colluttazione (con chi? Auto, tir, trattore), bensì sono evidenti le ferite da arma da fuoco in più parti del corpo.

Dallo scarno rapporto medico in puro burocratese si evince che “ferito e incapace di muoversi e grazie al pronto intervento di Carmine Suanno, veterinario del Parco Nazionale del Pollino, era stato possibile rilevare come l’animale fosse stato vittima di un episodio di colluttazione e come le sue condizioni generali fossero già critiche a seguito anche di complicazioni dovute a gravi lesioni, conseguenze dirette dell’aggressione subita”.

L’esemplare, un maschio di circa 3-4 anni e del peso approssimativo di 35 kg, non presentava alcun carattere fenotipico di ibridazione, quindi con ogni probabilità appartenente alle popolazioni ancora pure presenti nell’Appennino meridionale.

 
Il lupo trovato morto a San Costantino albanese (foto dal web)
L’animale è stato quindi assistito, medicato e portato presso la Clinica veterinaria della ASL Napoli 1 e affidato all'equipe del CRAS del Frullone dove, nonostante tutte le cure prestate, non è riuscito a sopravvivere a causa del quadro clinico fortemente compromesso dai traumi subiti, che hanno determinato la frattura delle vertebre cervicali c1 e c3 con versamento, conseguente tetraparesi e successiva morte sopraggiunta per arresto cardiocircolatorio. Gli esami istologici, alla luce di ulteriori alterazioni riscontrate a livello degli organi interni, completeranno il verbale della diagnosi post morte. L’episodio in ogni caso, dimostra come permangano ancora forti rischi per la specie a causa di bracconaggio e azioni illegali su cui occorre approfondire e indagare per assicurare alla giustizia chi si è reso responsabile di questa vile azione.

E meno male che esiste la rete Wolfnet!
 E se non ci fosse?
Sarebbe stata la stessa cosa. Perché una rete funziona se interviene in tempo reale, utile e capace di salvare l’animale in oggetto. Se si arriva subito dopo, tanto solo da certificarne la morte, non ha senso.
Infine, dissento molto dal metodo secondo il quale tutto deve passare sotto silenzio per favorire le indagini degli organi preposti alla vigilanza.
Che tanto per essere chiari non hanno mai scoperto nessun autore di questi efferati delitti contro la fauna selvatica in ordine alle ormai decine di episodi che si sono verificati negli ultimi anni.
Sono e rimango convinto della necessità di dare massimo risalto alla notizia con tutti i mezzi possibili ed immaginabili al fine di incutere quel “senso di colpa” che potrebbe indurre l’autore/i a tradirsi e a farlo riflettere sul gesto.
Non ho idea se la stampa locale abbia dato la notizia.
Invece i social hanno mostrato con immagini molto dettagliate dalle quali si evince la dinamica dei fatti:
il povero lupo presenta ferite da arma da fuoco in più parti del corpo.
Ovviamente questa notizia non è riportata nel comunicato stampa di Legambiente e sul sito di wolfnet.
Come dire che i panni sporchi si lavano in casa.
Forse questa strategia di comunicazione va rivista. Soprattutto alla luce dei tanti episodi del passato che non hanno mai trovato un colpevole!


martedì 27 ottobre 2015

Abolire il Corpo Forestale dello Stato, cui prodest? *

Non abbiamo scritto prima sulla proposta di abolire di fatto il Corpo Forestale dello Stato perché non credevamo che la politica arrivasse a tanto.
Invece il Decreto Madia sulla riforma della pubblica amministrazione ha partorito il topolino. Dopo una lunga gestazione è diventato legge e quindi siamo in attesa dei vari decreti attuativi.
Uno dei tanti in preparazione avanzata è la riforma del Corpo Forestale dello Stato. Di fatto questa struttura confluirà nelle altre forze di polizia fino ad esaurimento del personale.
 Facciamo una premessa: uno Stato moderno per difendere l’ambiente deve avere delle buone norme e un efficiente apparato di applicazione e di controllo.
Delle leggi abbiamo più volte riferito su questo giornale.
Della osservanza, applicazione delle norme e la eventuale repressione dei reati ambientali il CFS è l’unico corpo nazionale di polizia giudiziaria specializzato in settori delicatissimi e fondamentali quali la tutela dell’ambiente, del patrimonio boschivo e degli animali, la lotta all’abusivismo, il rispetto della convenzione Cites sulle specie protette e le indagini sugli incendi boschivi.
Inoltre, il Corpo Forestale dello Stato ha fino ad oggi rivestito un importante ruolo nella sorveglianza dei Parchi, Nazionali ma non solo, e che considerevoli porzioni demaniali dei Parchi italiani sono oggi gestite direttamente dagli Uffici Territoriali per la Biodiversità del CFS.
Ma allora perché abolire il CFS? E a chi conviene la sua soppressione?
Corpo forestale dello Stato (foto dal web)
L’idea viene da lontano e ora è arrivata in dirittura d’arrivo. È iniziata con un disegno di legge di Ettore Rosato ed altri deputati del Pd.
Si vuole risparmiare sulla macchina dello Stato, ma viene da chiedersi: perché cominciare da un Corpo come quello Forestale che da sempre dà – nonostante il suo organico ristretto (sono 7260, meno dei vigili urbani di Roma) – una buona prova di se’ soprattutto per quanto riguarda i reati ambientali (10.200 accertati nel 2013)?
In seguito ad una crisi economica, per promuovere la crescita bisogna sacrificare la tutela dell’ambiente.
Infatti, leggendo tra le righe del decreto legge n. 5 del 9 febbraio 2012, appare un articolo 14 dal titolo molto significativo: “Semplificazione dei controlli sulle imprese”, la cui motivazione dichiarata era di limitare al massimo i controlli sulle imprese al fine di recare alle stesse “il minore intralcio” possibile; raggiungendo il colmo quando stabiliva che i controllori devono conformarsi  al principio di “collaborazione amichevole con i soggetti controllati al fine di prevenire rischi e situazioni di irregolarità” (principio per fortuna cancellato dalla legge di conversione). Ma il messaggio agli organi di controllo pubblico è rimasto: in questo momento di difficoltà economica, le imprese devono essere lasciare in pace – afferma in un intervento pubblico Gianfranco Amendola, magistrato ed esperto in norme ambientali -  meno controlli si fanno meglio è. Tanto è vero che lo stesso articolo, nella stesura definitiva, non invitava le imprese a collaborare con i controllori pubblici, ma si rivolgeva a questi ultimi affinché fossero loro a “collaborare” con gli imprenditori, senza dire come.
Infatti, la legge non decreta tassativamente la soppressione del Cfs ma, sotto il titolo Riorganizzazione dell’amministrazione dello Stato“, demanda ad un decreto governativo delegato  il compito di “riordino delle funzioni di polizia di tutela dell’ambiente, del territorio e del mare, nonché nel campo della sicurezza e dei controlli nel settore agroalimentare, conseguente alla riorganizzazione del Corpo forestale dello Stato ed eventuale assorbimento del medesimo in altra Forza di polizia, ferme restando la garanzia degli attuali livelli di presidio dell’ambiente, del territorio e del mare e della sicurezza agroalimentare e la salvaguardia delle professionalità esistenti, delle specialità e dell’unitarietà delle funzioni da attribuire, assicurando la necessaria corrispondenza tra le funzioni trasferite e il transito del relativo personale“.
E’ vero invece che se davvero si avesse a cuore la tutela del territorio e dell’ambiente, si dovrebbe rinforzare questo Corpo, che è palesemente sotto-organico rispetto alle mansioni che gli sono affidate (in tutto il Piemonte sono appena 406).
Tutto ci fa pensare che l’eliminazione del Corpo Forestale è una spia di una tendenza generalizzata che si chiama “disattenzione per l’ambiente”. “L’ambiente come optional”, come lo definisco io.
Noi della sezione di Castrovillari  del Club Alpino Italiano  esprimiamo forte preoccupazione per l’eliminazione del CFS: sicuramente questo è il primo segnale al quale  seguirà la chiusura dei Parchi nazionali (sempre nella ottica del risparmio); infatti, mentre si attendono comunicazioni sugli organi di gestione dei parchi (il nostro non ha il consiglio direttivo scaduto a dicembre del 2013) si ha notizia dall’inizio del 2014 di almeno tre tagli ai finanziamenti previsti dallo Stato sia per le aree naturali protette a terra che per quelle a mare. A quanto risulta al WWF il capitolo di bilancio “gestione interventi Parchi nazionali” ha registrato un taglio di circa 865.000,00 euro, passando dagli originari 5.800.000 circa di inizio anno agli attuali 4.960.000,00 circa (un taglio del 15%).

In compenso, per fare un paragone oltralpe, la Svizzera ha deciso di raddoppiare i fondi per i parchi nazionali a partire dal 2016.




* Articolo pubblicato su PASSAMONTAGNA, periodico del Club Alpino Italiano, sezione di Castrovillari

giovedì 22 ottobre 2015

Riconoscere la bellezza

Che la nostra carta costituzionale sia la migliore del mondo non ci sono dubbi.
Così come non ci sono dubbi che va adeguata ai tempi con leggere modifiche senza smontare l’impianto principale.
Come tutti sappiamo in Parlamento è in atto la modifica della Carta.
Ho la mia convinzione che queste modifiche finiranno per crearci più problemi di quanti si proponga di risolvere.
Tuttavia una proposta, bizzarra nel suo essere, comunque merita di essere ricordata.
La proposta dell’on Serena Pellegrino, di inserire il riconoscimento della Bellezza in Costituzione come aggiunta all’art. 1del comma “La Repubblica riconosce la bellezza quale elemento costitutivo dell’identità nazionale, la conserva, la tutela e la promuove in tutte le sue forme materiali e immateriali: storiche, artistiche, culturali, paesaggistiche e naturali”.
Mi viene da obiettare che la Bellezza in quanto tale non necessita di una norma costituzionale.
Però se si avverte l’urgenza di inserire una norma per riconoscere la bellezza dopo tutta la storia che ci distingue e caratterizza da millenni vuol dire che di acqua sotto i ponti ne deve ancora scorrere tanta.
E forse hanno ragione i proponenti della norma.
Oppure troppe norme nessuna norma.



Per chi vuole saperne di più:

Albero della Vita, Padiglione Zero e Palazzo Italia saranno riaperti in primavera

Da un disegno di Michelangelo il simbolo di Padiglione Italia: l'Albero della Vita
Ho archiviato le foto realizzate ad Expo 2015.
Rivedendo i filmati amatoriali che realizzato tra una pausa e l’altra del mio lavoro di testimonial del Parco del Pollino confermo ancora una volta che l’Albero della Vita è certamente l’opera più audace e geniale di tutta l’esposizione universale di Milano.

La grande capigliatura svetta verso il cielo, a 37 metri di altezza, sorretta da un complesso ed elegante intreccio di legno e acciaio. L’Albero della Vita, simbolo di Padiglione Italia è sicuramente il richiamo più forte ed emozionante di Expo 2015.

La grande struttura in legno e acciaio si eleva al centro di uno specchio d’acqua chiamato Lago Arena su cui si affacciano ampie gradinate. L’opera, realizzata dal Consorzio “Orgoglio Brescia”,  e sponsorizzata da Pirelli e Coldiretti, è situata al termine del Cardo, uno dei due assi principali di Expo, una delle principali vie d’accesso al sito. L’Albero è di fronte a Palazzo Italia, luogo di rappresentanza dello Stato e del governo italiano.

La struttura dell’Albero della Vita affonda le radici in uno dei periodi artistici più fervidi dell’arte italiana, il Rinascimento. Sul finire degli anni Trenta del XVI secolo, Michelangelo risistemava Piazza del Campidoglio su incarico papale, donandole una nuova forma. Proprio per questo pavimento, l’artista concepì e disegnò una struttura complessa e simbolica che, partendo da un disegno a losanghe, termina in una stella a dodici punte indicante le costellazioni.

Proprio da questo disegno michelangiolesco, Marco Balich, direttore artistico di Padiglione Italia nonché produttore di grandi eventi e regista, ha mutuato la forma dell’Albero della Vita, una grandiosa costruzione a metà tra monumento, scultura, installazione, edificio, opera d’arte che oltre al Rinascimento rinvia a simbologie più complesse e comuni a molteplici culture.
L’Albero della Vita non è solo tradizione e simbologia religiosa: è anche il segno di uno slancio rivolto al futuro, all'innovazione e alla tecnologia.
Sono sempre più convinto che l’Albero della Vita rappresenta il Genio italico (e la sua sregolatezza) nel pieno del suo significato.

È una bella notizia la sua apertura a primavera e la continua manutenzione della struttura anche dopo lo smantellamento dei vari padiglioni. 

Expo 2015, Sala: “Albero della Vita, Padiglione Zero e Palazzo Italia saranno riaperti in primavera”

Cos'è l'Albero della Vita
Da un disegno di Michelangelo il simbolo di Padiglione Italia

La grande chioma svetta verso il cielo, a 37 metri di altezza, sorretta da un complesso ed elegante intreccio di legno e acciaio. L’Albero della Vita, simbolo di Padiglione Italia, è realtà e annuncia l’imminente apertura di Expo 2015. 
La grande struttura in legno e acciaio si erge al centro di Lake Arena, specchio d’acqua su cui si affacciano ampie gradinate, il maggiore spazio open air dell’area. L’opera, realizzata dal Consorzio “Orgoglio Brescia”, è situata al termine del Cardo, uno dei due assi principali di Expo, una delle principali vie d’accesso al sito. L’Albero è di fronte a Palazzo Italia, luogo di rappresentanza dello Stato e del governo italiano.

La struttura dell’Albero della Vita affonda le radici in uno dei periodi artistici più fervidi dell’arte italiana, il Rinascimento. Sul finire degli anni Trenta del XVI secolo, Michelangelo risistemava Piazza del Campidoglio su incarico papale, donandole una nuova forma e prevedendo una pavimentazione che eliminasse lo sterrato esistente. Proprio per questo pavimento, l’artista concepì e disegnò una struttura complessa e simbolica che, partendo da un disegno a losanghe, culmina in una stella a dodici punte indicante le costellazioni.

Proprio da questo disegno michelangiolesco, Marco Balich, direttore artistico di Padiglione Italia nonché produttore di grandi eventi e regista, ha mutuato la forma dell’Albero della Vita, una grandiosa costruzione a metà tra monumento, scultura, installazione, edificio, opera d’arte che oltre al Rinascimento rimanda a simbologie più complesse e comuni a numerose culture, per cui l’Albero della Vita è simbolo della Natura Primigenia, la grande forza da cui è scaturito il tutto. Il Concept è di Marco Balich e il design è di Marco Balich in collaborazione con lo studio Gioforma.

L’Albero della Vita non è solo tradizione e simbologia religiosa: è anche il segno di uno slancio rivolto al futuro, all’innovazione e alla tecnologia. La struttura nasce fin dall’inizio come icona interattiva destinata a catturare l’immaginario del visitatore e creare una rete di connessioni tra i vari padiglioni di Expo 2015. Ad animarla saranno una serie di effetti speciali realizzati con le più avanzate tecnologie di spettacolo. Dall’Albero della Vita partiranno tutte le manifestazioni del palinsesto del Padiglione Italia.


 Fonte
http://www.padiglioneitaliaexpo2015.com/it/padiglione_italia/albero_della_vita

Expo 2015, Sala: “Albero della Vita, Padiglione Zero e Palazzo Italia saranno riaperti in primavera”

Cos'è l'Albero della Vita
Da un disegno di Michelangelo il simbolo di Padiglione Italia

La grande chioma svetta verso il cielo, a 37 metri di altezza, sorretta da un complesso ed elegante intreccio di legno e acciaio. L’Albero della Vita, simbolo di Padiglione Italia, è realtà e annuncia l’imminente apertura di Expo 2015. Per sei mesi sarà il richiamo potente e suggestivo delle centinaia di
migliaia di visitatori dell’Esposizione universale di Milano.
La grande struttura in legno e acciaio si erge al centro di Lake Arena, specchio d’acqua su cui si affacciano ampie gradinate, il maggiore spazio open air dell’area. L’opera, realizzata dal Consorzio “Orgoglio Brescia”, è situata al termine del Cardo, uno dei due assi principali di Expo, una delle principali vie d’accesso al sito. L’Albero è di fronte a Palazzo Italia, luogo di rappresentanza dello Stato e del governo italiano.

La struttura dell’Albero della Vita affonda le radici in uno dei periodi artistici più fervidi dell’arte italiana, il Rinascimento. Sul finire degli anni Trenta del XVI secolo, Michelangelo risistemava Piazza del Campidoglio su incarico papale, donandole una nuova forma e prevedendo una pavimentazione che eliminasse lo sterrato esistente. Proprio per questo pavimento, l’artista concepì e disegnò una struttura complessa e simbolica che, partendo da un disegno a losanghe, culmina in una stella a dodici punte indicante le costellazioni.

Proprio da questo disegno michelangiolesco, Marco Balich, direttore artistico di Padiglione Italia nonché produttore di grandi eventi e regista, ha mutuato la forma dell’Albero della Vita, una grandiosa costruzione a metà tra monumento, scultura, installazione, edificio, opera d’arte che oltre al Rinascimento rimanda a simbologie più complesse e comuni a numerose culture, per cui l’Albero della Vita è simbolo della Natura Primigenia, la grande forza da cui è scaturito il tutto. Il Concept è di Marco Balich e il design è di Marco Balich in collaborazione con lo studio Gioforma.

L’Albero della Vita non è solo tradizione e simbologia religiosa: è anche il segno di uno slancio rivolto al futuro, all’innovazione e alla tecnologia. La struttura nasce fin dall’inizio come icona interattiva destinata a catturare l’immaginario del visitatore e creare una rete di connessioni tra i vari padiglioni di Expo 2015. Ad animarla saranno una serie di effetti speciali realizzati con le più avanzate tecnologie di spettacolo. Dall’Albero della Vita partiranno tutte le manifestazioni del palinsesto del Padiglione Italia.



Fonte 
http://www.padiglioneitaliaexpo2015.com/it/padiglione_italia/albero_della_vita

mercoledì 21 ottobre 2015

Albero della Vita, Padiglione Zero e Palazzo Italia saranno riaperti in primavera

Da un disegno di Michelangelo il simbolo di Padiglione Italia: Cos'è l'Albero della Vita
Ho archiviato le foto realizzate ad Expo 2015.
Rivedendo i filmati amatoriali che realizzato tra una pausa e l’altra del mio lavoro di testimonial del Parco del Pollino confermo ancora una volta che l’Albero della Vita è certamente l’opera più audace e geniale di tutta l’esposizione universale di Milano.

La grande capigliatura svetta verso il cielo, a 37 metri di altezza, sorretta da un complesso ed elegante intreccio di legno e acciaio. L’Albero della Vita, simbolo di Padiglione Italia è sicuramente il richiamo più forte ed emozionante di Expo 2015.

La grande struttura in legno e acciaio si eleva al centro di uno specchio d’acqua chiamato Lago Arena su cui si affacciano ampie gradinate. L’opera, realizzata dal Consorzio “Orgoglio Brescia”,  e sponsorizzata da Pirelli e Coldiretti, è situata al termine del Cardo, uno dei due assi principali di Expo, una delle principali vie d’accesso al sito. L’Albero è di fronte a Palazzo Italia, luogo di rappresentanza dello Stato e del governo italiano.

La struttura dell’Albero della Vita affonda le radici in uno dei periodi artistici più fervidi dell’arte italiana, il Rinascimento. Sul finire degli anni Trenta del XVI secolo, Michelangelo risistemava Piazza del Campidoglio su incarico papale, donandole una nuova forma. Proprio per questo pavimento, l’artista concepì e disegnò una struttura complessa e simbolica che, partendo da un disegno a losanghe, termina in una stella a dodici punte indicante le costellazioni.

Proprio da questo disegno michelangiolesco, Marco Balich, direttore artistico di Padiglione Italia nonché produttore di grandi eventi e regista, ha mutuato la forma dell’Albero della Vita, una grandiosa costruzione a metà tra monumento, scultura, installazione, edificio, opera d’arte che oltre al Rinascimento rinvia a simbologie più complesse e comuni a molteplici culture.
L’Albero della Vita non è solo tradizione e simbologia religiosa: è anche il segno di uno slancio rivolto al futuro, all’innovazione e alla tecnologia.
Sono sempre più convinto che l’Albero della Vita rappresenta il Genio italico (e la sua sregolatezza) nel pieno del suo significato.

È una bella notizia la sua apertura a primavera e la continua manutenzione della struttura anche dopo lo smantellamento dei vari padiglioni. 

sabato 17 ottobre 2015

Lettera aperta al mio sindaco

Nemo propheta in Patria
 Che nessuno sia profeta nella propria patria si sa. È stato scandito da tantissime vicende più o meno storiche, ormai cristallizzate nel tempo.
Per questo (e per tanto altro) non sono mai stato interpellato quando nel mio comune uno dei tanti sindaci di turno pur di sfruttare il finanziamento di un ente qualsiasi che dava il “contributino” per realizzare il solito sentiero.
Eppure ho lavorato alla realizzazione del Catasto dei Sentieri del Parco nazionale del Pollino.
Emanuele Pisarra ritratto di fronte al Ponte Romano
a Pont San Martin (osta)
Ma questo non basta.
Ho diretto i lavori di un primo blocco di sentieri, vincendo una gara d’appalto in Associazione Temporanea di Professionisti, sempre per ‘Ente parco nazionale del Pollino.
Ho coordinato i lavori di sentieristica per il Progetto Calabria Parchi per conto del Ministero dell’Ambiente.
Ho diretto il primo lavoro di segnaletica dei Sentieri Prioritari e Preliminari del Parco per conto della sezione CAI di Castrovillari.
Ho collaborato alla rivisitazione della rete sentieristica del versante calabro del Pollino insieme al Gruppo Sentieri della sezione del CAI di Castrovillari.
Ho diretto i lavori di un sentiero per il comune di Armento in Basilicata.
Come ultimo incarico ho individuato e segnato due sentieri nei comuni di Alessandria del Carretto e di Cerchiara di Calabria per conto del Gal Alto Jonio cosentino.
Ho frequentato corsi di e sulla sentieristica in tutta Italia; in ultimo ho frequentato a luglio di quest’anno un seminario di aggiornamento su le reti sentieristiche quale sviluppo di un territorio nelle dolomiti Bellunesi.
Per questo (e tanto altro) – per dirla con Grazia Deledda - si è formata la mia arte.
Ovviamente il Comune di Civita si è sempre ben guardato di chiedermi almeno un parere su di un sentiero che intendeva recuperare.
Nemo Propheta in Patria!
Ovviamente ne ha il diritto. Il diritto di scegliersi i tecnici e i consulenti che vuole per realizzare un opera utile alla comunità.
Per scelta di vita ho deciso di starmene fuori dall’agone politico locale.
Con questo post faccio una eccezione alla regola che mi sono dato.
Ho appreso solo ieri pomeriggio che il comune di Civita si appresta a realizzare un sentiero – o meglio – a recuperare il vecchio sentiero che porta al Ponte d’Ilice.
Il tutto spendendo circa 180.000 euro.
Ho pensato di non aver capito bene. E senza sapere a chi chiedere sono andato a visitare l’albo pretorio del Comune.
Ho trovato la delibera dell’8 ottobre 2015 dove si nomina la commissione giudicatrice per l’appalto dei lavori di “Ripristino della sentieristica di collegamento San Martino Ponte d’Ilice”.
È la somma impegnata è veramente di oltre 180.000 (180.865,14 euro).
Ovviamente al deliberato non ci sono allegati. Per cui non si sa chi è il tecnico progettista, non si conoscono i termini del progetto e cosa si intende realizzare
Pont San Martin (AO). Ponte del Diavolo
con questa somma.
Questo per la trasparenza.
Ad ogni modo - con la mia modesta esperienza ultra ventennale nel settore - pur non conoscendo gli elaborati tecnici mi permetto di esprimere un parere sul progetto.
Premetto che Civita in questo momento è tutto un cantiere e va dato merito al sindaco e a coloro che si sono prodigati a trovare i denari necessari per avviare queste opere.
Che poi queste opere siano realmente utili alla comunità e che concorrano al processo di sviluppo socio-economico e di sviluppo sostenibile ho seri dubbi (non lo dico io: lo dicono le statistiche).
 Veniamo a questo sentiero in cantiere.
Recuperare il sentiero che porta al Ponte d’Ilice a chi giova se poi il ponte è pericolante e quindi non può essere utilizzato per attraversare le gole del Raganello o andare a San Lorenzo bellizzi in ossequio e come percorrenza del vecchio cammino storico che collegava Civita con il paese delle Timpe?
Ovviamente posso immaginare già la risposta …
Altro dubbio: lo si lastricherà di marmo di Carrara o – molto più modestamente – di pietra di Cerchiara per spendere tutti questi denari?
In media il recupero di un sentiero storico (e per storico si intende che già esiste un tracciato con fondo battuto e percorso per molti anni) costa 1500 euro a km, ad eccezione di opere di sicurezza, ponti, cavalcavia, passaggi tibetani o altro.
A questi si aggiungono altri 1000 euro a km per la segnaletica verticale e orizzontale.
E, infine, ci sono gli oneri fiscali e contributivi per coloro che lavorano al cantiere.
In tutta Italia la sentieristica è ad appannaggio dei volontari del Club Alpino Italiano.
Qui da noi ancora si va con la logica degli appalti con gravi ed enormi danni all’erario.
Oltre alla qualità dei lavori.
La storia si ripete. Già l’Ente Parco del Pollino spese oltre 637 mila euro per realizzare solo 67 km di sentieri.
Il CAI spese 20000 euro per realizzarne 230 km.
Ma sulla scelta politica di dare lavoro alle imprese piuttosto che utilizzare le professionalità presenti sul territorio non ho titoli per dire la mia.
Dico quello che penso invece sul Progetto – per quel poco che si evince dalla delibera pubblicata sul sito del comune – che ancora una volta si pensa a “meglio l’uovo oggi che la gallina domani”.
Già in passato si realizzò un sentiero (anzi solo un tratto) per scendere alle Gole del Raganello. Senza sapere che quel tratto di sentiero fa parte di un altro percorso che collegava tutta il Canyon del Raganello con il Piano d’Ilice, le località di Seppebono e l’abitato di Civita.
Un sentiero molto usato negli inverni freddi per evitare la neve e le bufere di vento del Pollino.
Ovviamente – nonostante mi fu assicurato dal sindaco protempore che era stato informato l’Ente Parco dei lavori e che era stato richiesto il numero di catasto da dare alla traccia – nulla di tutto ciò fu mai realizzato.
A parte una orribile e scadente cartellonistica.
Della necessità di realizzare una rete di sentieri che parta dalla piazzetta del paese, colleghi il rifugio di Colle Marcione, San Lorenzo Bellizzi, Cerchiara di Calabria, Francavilla Marittima, Frascineto e le cime alte del Pollino pare non interessi nessuno.
Abbiamo la necessità di far fare qualcosa all’escursionista che viene in vacanza a Civita.
Anche se aumentano i flussi di gente che viene a Civita, diminuisce la permanenza.
Dopo aver visto i musei, la chiesa, il belvedere (e per i più ardimentosi) essere andati al Ponte del Diavolo (e la maggior parte va giù al Ponte con la navetta) il turista se ne va.
Non esiste una mappa dei sentieri locali (a parte la mia carta) che possa essere acquistata dall’escursionista (come si fa in tutti i parchi e le città turistiche del mondo) che suggerisca itinerari, percorsi, luoghi da visitare in modo da rendere piacevole la permanenza nel nostro territorio.
Senza grande sforzo. Basta chiedere agli anziani che dimorano sotto gli alberi quali sono state le mulattiere che collegavano Civita con i paesi limitrofi.
In molti raccontano della loro gioventù trascorsa su questi tratturi. Addirittura un signore mi ha raccontato – al tempo in cui facevo le indagini per ricostruire la rete dei sentieri storici del Parco – che partì da Civita per andare a comprare un asino a Montegiordano e poi ritornarsene in paese percorrendo questi vecchie mulattiere.
I nostri tecnici non hanno la cultura della montagna. Non conoscono la storia locale. Non si informano prima di realizzare opere e manufatti. Non pensano a cosa bisogna fare per rendere utili i denari spesi.
Purtroppo!
Siamo ancora alla puntata del progettino, del sentierino, del cartellone, dell’incarico professionale, dell’appalto.
Con questi progetti non si va da nessuna parte.
Che ben vengano queste incombenze ma con un occhio all’utilità dell’opera.  
Infine, è poi tanto complicato andare a vedere (o chiedere) cosa fanno (o hanno già fatto) gli altri?
E per altri non intendo il comune vicino (Acquaformosa docet) ma penso ai paesi del Trentino, della Valle d’Aosta.
Per inciso – sono appena tornato da una “tre giorni” di cammino sulla Via Francigena della Valle d’Aosta – e quando sono arrivato a Pont San Martin, ultimo paese della Valle, ho pensato: ma perché Civita non si gemella con questo paese, tanto più perché ci accomuna un Ponte del Diavolo.
Pensando poi che il sindaco questa estate ha annunciato che intende gemellarsi con alcuni paese dell’Albania.
Allora non c’è nulla da fare!
Fermo restando che va bene anche il gemellaggio con l’Albania dal punto di vista identitario ma per lo sviluppo socio-economico della comunità in forte depressione servono esperienze con paesi più … avanzati.  


Per chi vuole leggere la delibera del comune di Civita
  1. http://www.servizipubblicaamministrazione.it/Siti/cvt973/AlboPretorio/2015/2015-000392-1.PDF
  2. http://www.servizipubblicaamministrazione.it/Siti/cvt973/AlboPretorio/2015/2015-000403-1.PDF 



giovedì 15 ottobre 2015

Rifugio di Colle Marcione

Qualche giorno fa presso il comune di Civita, Carla Primavera, la presidente della sezione di Castrovillari del Club Alpino Italiano, ha firmato l’intesa con il comune di Civita e il presidente del Parco del Pollino per la gestione del rifugio di Colle Marcione.
Finalmente!
Vedere quel rifugio in condizioni a dir poco pietose per chiunque arriva al Colle è un pugno nello stomaco.
Una struttura fatta dalla Comunità Montana del Pollino, nasce come ricovero per pastori; poi viene convertito subito a rifugio di montagna. Tanto per gradire, in Italia se uno vuole fare una cosa precisa di sana pianta non può e quindi deve ricorrere a qualche sotterfugio e poi per il resto della vita ne paga le conseguenze.
Difendo il rifugio, la sua posizione e la sua storia. Anche se, strutturalmente, non è fatto bene, questa struttura serve alla nostra comunità per ampliare l’offerta turistica.
Faccio un passo indietro. La struttura già doveva essere presa in gestione dalla nostra sezione nel 1999 quando il ministero dell’ambiente affidò dei fondi per la realizzazione di una rete sentieristica modello e la costruzione o ristrutturazione di un edificio da adibire a punto di accoglienza degli escursionisti che affrontavano itinerari lunghi e faticosi.
Non se ne fece nulla per “merito” di un assessore dell’epoca della comunità montana che si oppose dicendo che “Civita aveva avuto già troppo” dall’ente di montagna.
La struttura rimase al concessionario che la lasciò deperire sempre più.
Ci vollero altri dieci anni e dopo la liquidazione delle Comunità montane, l’immobile passò a Calabria verde, un’organizzazione che gestisce tutti i beni delle ex comunità montane, per poi essere affidata al comune di Civita.
Rimane il mistero del perché tutto ciò non è stato fatto prima.
Meglio tardi che mai.

Ora ci vorrà ancora qualche altro mese per la ristrutturazione e poi - finalmente – per il rifugio di Colle Marcione inizia un’altra vita.

venerdì 9 ottobre 2015

Stampate, stampate!

Mai come in questo periodo storico l’arte di fotografare aveva raggiunto una così alta popolarità.
Grazie al progresso tecnologico e alla “democratizzazione della fotografia”, non è difficile incontrare su di un sentiero di montagna, magari mentre si arranca in forte salita, un fotografo digitale.
Alle prese con il telefonino per fare una foto
Una macchina fotografica, un telefonino, pronti a immortalare ogni momento della giornata, ogni foglia che si muove, ogni cespuglio.
Fa niente se poi la stragrande parte di queste immagini finiscono su di un hard disk o sul proprio profilo su uno dei tanti social.
Però quante di queste immagini vedono la luce, stampate su di un supporto cartaceo. Si calcola che non si superi il 10%.
Mi chiedo cosa sarà di questa epoca storica quando i nuovi computer non riusciranno a leggere i vari codici che formano una immagine digitale oggi.
Forse saremo la prima generazione senza memoria storica dal punto di vista delle immagini.
Stampate! 
Stampate, perché sembra che il periodo storico quello con più immagini in assoluto, rischia di non ritrovarsi con nessuna documentazione storica di immagini, diventando una sorta di “deserto digitale”.
Questo appello è rivolto nientedimeno che dal vicepresidente di Google.
Infatti, questa affermazione che mi è capitata di leggere su di una rivista di montagna (Rivista del Trekking, aprile-maggio 2015) cade proprio “a fagiolo” proprio mentre stavo mettendo a posto un disco rigido dove ho archiviato alcune migliaia di foto.
Mentre sistemo i cavi di collegamento e di alimentazione, inciampo e l’hard disk finisce con un sonoro botto al pavimento.
Mi ha preso un colpo!
Provo con trepidazione a collegare il vecchio disco rigido al computer … niente da fare.
Non dà nessun segno di vita.
Addio a migliaia (centinaia di migliaia di immagini) a partire dal 2000.
Dopo un primo sgomento mi sono ricordato che ho in soffitta un archivio di immagini su dvd e su di altri dischi rigidi.
Domani provo a vedere se e cosa ho perso a causa di un banale inciampo su di un cavo di alimentazione.
Per questo che bisogna fare poche immagini e stampare quando prima.

Stampate, stampate!